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Helmut Newton scattava raramente in studio, preferendo la strada come sua tela; il suo stile, erotico-urbano, era supportato da una tecnica fotografica eccellente. Fu un protagonista indiscusso della fotografia del XX secolo, un “provocatore” che ha scosso il mondo con le sue immagini femminili intrise di erotismo.

SOGGETTO DONNA – Nel 2004 viene pubblicata la sua autobiografia, scritta poco prima della morte, e raccontata in prima persona. Si capisce tra le sue parole, quanto la donna sia costantemente stata per lui una continua ambizione, una spinta essenziale a ricercare nuove idee e visioni imprevedibili ma allo stesso tempo inconfondibili nello stile.

L’APPRENDISTATO – Helmut Newton compra la prima macchina fotografica a soli dodici anni. Frequenta la scuola americana, dalla quale viene espulso quando la sua passione per la fotografia finisce per incidere negativamente con gli studi. Nel 1936, a sedici anni, comincia il suo apprendistato vero e proprio presso l’atelier della fotografa di moda Iva. Frequenta nel frattempo una ragazza ariana che mette a rischio la sua incolumità a causa della sempre maggior diffusione delle leggi antiebraiche. I suoi genitori lo imbarcano così su una nave diretta in Cina, ma Helmut si ferma a Singapore, dove, per appena due settimane, lavora per il quotidiano “Straits Times”. E’ proprio in questo periodo che inizia a capire quale potrebbe essere la sua strada lavorativa.

LA MOGLIE JUNE– Nel 1940 arriva in Australia e dopo un breve periodo di prigionia in quanto cittadino tedesco, raggiunge le forze australiane al fronte per ben cinque anni. Nel 1946 diventa cittadino australiano e nel 1948 sposa l’attrice June Brunnell, che conosce sul lavoro: lei posa, infatti, come modella per le sue fotografie. I due resteranno marito e moglie per oltre cinquanta anni. June è un’attrice, ma è nota anche per la sua attività di fotografa che esercita con lo pseudonimo di Alice Springs dal nome della omonima cittadina australiana.

La fama di Newton esplose nel mondo della fotografia alla fine degli anni ‘60, quando inizò’ ad introdurre nella fotografia di moda elementi di sado-masochismo, voyeurismo e omosessualità. Le donne sono riprese in pose provocanti: si aggirano cariche di tensione erotica attraverso la camera di un albergo; si adagiano su un divano colme di soddisfazione.

La sua carriera è stata accompagnata dal gusto per la provocazione.  Nel 1974, uscì il suo primo libro “White Women”. che ottenne l’effetto desiderato: una bomba . A partire dal titolo, accusato di razzismo. «Ma quale razzismo» replicò, «è un bellissimo titolo, tantopiù che non c’è neanche una donna nera in tutto il volume…»

Helmut Newton aveva capito che più le sue opere erano ambigue, più riuscivano a disorientare l’osservatore, più sarebbero rimaste nella sua memoria. Ha sempre sfidato le convenzioni e lo sguardo dell’osservatore,  talvolta prendendolo in giro, ma sempre con stile ed eleganza.

Nonostante sia stata spesso oscurata dai contenuti, la sua tecnica fotografica è sopraffina: luci e composizione sono  praticamente impeccabili.

Insomma, una cosa è certa : le foto di Newton sono impossibili da ignorare.

I servizi realizzati per prestigiose campagne del settore moda, provocazioni e soluzioni innovative, sofisticate, non prive di rimandi alla storia dell’arte europea e al cinema, sempre con stile, fino ai ritratti iconici di personaggi noti del jet set internazionale, come Andy Warhol (1974), Ralph Fiennes (1995), Gianni Agnelli (1997), Catherine Deneuve (1976), Paloma Picasso (1983) e Leni Riefenstahl (2000).

VOGUE – Nel 1956 Newton viaggia a lungo attraverso l’Europa. A Londra firma un contratto di un anno con “British Vogue”, che rescinderà dopo 11 mesi. In seguito è a Parigi e quindi a Melbourne dove chiude un contratto con “Vogue Australia”. Nel 1961 torna a Parigi e si trasferisce in un appartamento in Rue Aubriot, nel Marais. Viene assunto a tempo pieno da “Vogue Paris”; occasionalmente lavora come fotografo editoriale per “British Vogue” e “Queen”. Collabora inoltre con ‘Marie Claire’, ‘Elle’ ‘Playboy’, ‘Vanity Fair’ e ‘GQ’.

LA MORTE – Esibisce i scuoi scatti in mostre in giro per il mondo a New York, Parigi, Londra, Houston, Mosca, Tokio, Praga e Venezia. Nel 1976 pubblica il suo primo volume di fotografie ‘White women’ e nel 1996 il ministro della cultura francese gli concede il titolo di Gran Commendatore delle arti e delle lettere. Il 23 giugno del 2004 all’età di 83 anni come in un set di una delle sue patinate fotografie, si schianta alla guida di una Cadillac contro una palma del Sunset Boulevard di Hollywood.

“Il mio lavoro come fotografo ritrattista è quello di sedurre, divertire e intrattenere.”

 “Bisogna essere sempre all’altezza della propria cattiva reputazione”

“Nelle mie foto non c’è emozione. È tutto molto freddo, volutamente freddo.”

 “Per me il massimo è fotografare Margaret Thatcher: che cosa c’è di più sexy del potere?”

 “Spesso mi capita di soffrire d’insonnia. Forse ho visto troppe immagini in vita mia per poter dormire tranquillo.”

 “Investo molto tempo nella preparazione. Penso a lungo a ciò che voglio realizzare. Ho libri e piccoli quaderni in cui scrivo tutto prima di una seduta fotografica. Altrimenti dimenticherei le mie idee.”

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