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Può sembrare strano, o peggio anacronistico, dopo tutta la strada percorsa dalla fotografia  parlare oggi di immagine stenopeica, soprattutto dopo la grande rivoluzione che negli ultimi anni ha trasformato questa disciplina da “argentica” a “numerica”, almeno nell’accezione di massa.

Ma forse è proprio per questo, con una fotografia sempre più schiava della tecnologia esasperata e, per certi versi, ingannevole e fine a se stessa che è meraviglioso riavvicinarsi ad un modo di fare immagine diverso, un mondo a parte che ha seguito la fotografia tradizionale fin dagli albori, in silenzio e senza esserne mai completamente sopraffatto.

Il principio di funzionamento è noto da millenni. Aristotele prima e le popolazioni Arabe poi erano a conoscenza dei principi di formazione dell’immagine e la utilizzavano, la camera oscura, per l’osservazione delle eclissi solari. A partire dal 1500, fu largamente sfruttata da pittori di piccola o grande fama. Come il Canaletto.

Una stanza buia, un piccolissimo foro su una parete. I raggi luminosi attraversano il foro e finiscono, capovolti, sulla parete opposta generando l’immagine del reale che è posto di fronte al foro.

La macchina fotografica stenopeica, pinhole camera come direbbero gli anglosassoni, non è altro che la versione miniaturizzata della camera oscura, dotata di un microscopico forellino (pochi decimi di millimetro il diametro) su un lato e di materiale fotosensibile dalla parte opposta.

Una scatola vuota e nera che cattura le immagini, senza l’intermediazione dell’obiettivo.

Non cambiano sostanzialmente i risultati, certo l’immagine stenopeica non è e non vuole essere “otticamente perfetta”, quello che cambia è l’approccio alla fotografia.

Non una raffica di 5 fotogrammi al secondo. Ma un fotogramma ogni 5 secondi. Minuti od ore, se necessario.

Provare la fotografia stenopeica è semplice ed economico.

In commercio si trovano abbastanza facilmente appositi tappi per il bocchettone delle fotocamere con il pinhole già preparato. Pratico, relativamente economico ma i risultati, trovo, non sono entusiasmanti. Il sensore, o il fotogramma 24×36, è troppo piccolo. L’immagine ingrandita per la stampa perde quella nitidezza minima che la rende piacevole alla vista. Si ottengono, per intenderci, immagini che scivolano facilmente verso il flou.

Inoltre la focale risultante, che è la distanza del foro dal sensore/pellicola, è normalmente pari a 40-45 mm. Una focale normale che trovo poco stimolante.

Meglio, molto meglio, le apposite fotocamere medio formato che utilizzano rulli 120, fornendo fotogrammi di grandi dimensioni (dal 6×4,5 al 6×12!) e caratterizzati da enormi angoli di campo.

Ma questo non vuole essere un trattato sulla fotografia stenopeica, in internet si trovano informazioni in abbondanza, quanto una semplice riflessione su un gioco. Che gioco non è.

M.M.

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