
Irving Penn è il fotografo che più di tutti ha lasciato un’impronta indelebile nella storia della fotografia di moda.
Secondo Anna Wintour, storica direttrice di Vogue, rivista per cui Penn ha lavorato per sessant’anni, l’americano “ha cambiato il modo in cui le persone vedono il mondo e la percezione di cosa sia la bellezza”. Definirlo semplicemente “fotografo di moda” è probabilmente riduttivo: Penn era un artista completo, interessato a tutti gli aspetti dello studio della forma e del colore, e si avvicinò alla fotografia solo successivamente. Penn ci ha lasciato nel 2009, morendo a New York all’età di 92 anni. Le sue opere e la fondazione che porta il suo nome testimoniano ancora oggi l’importanza del suo lavoro. Per comprendere chi fosse realmente Penn, è utile fare un passo indietro e ricostruire la carriera e il percorso artistico che lo hanno reso così celebre. Penn nacque in una famiglia di emigrati di origini russo-ebraiche nell’America del 1917. Primogenito di due fratelli, ebbe l’opportunità di studiare arte grafica, esercitandosi particolarmente nel disegno e nella pittura. Uno dei suoi insegnanti, Alexey Brodovitch, fotografo russo emigrato negli Stati Uniti, divenne suo mentore e lo introdusse nella redazione di Harper’s Bazaar, nota rivista di moda e fotografia, dove Penn iniziò a lavorare come disegnatore e grafico. Insoddisfatto dell’andamento della sua carriera, decise di partire per un viaggio in Messico alla ricerca di nuove opportunità e per coltivare la sua passione per la pittura.
Sfortunatamente le cose non andarono come previsto, a 26 anni Penn dovette ripiegare in patria, convinto che la pittura non fosse più la sua strada.
Spostatosi a New York riuscì a trovare impiego presso Vogue, altra ben nota rivista di moda. Uno dei suoi primi incarichi lo diresse a Napoli, dove sbarcò con le truppe Alleate durante le operazioni militari che avrebbero segnato la resa dell’Italia durante la Seconda Guerra Mondiale. Tornato dall’Italia riprese a fotografare finché, all’inizio degli anni ’50, non possiede sufficiente notorietà ed indipendenza economica per aprire un proprio studio. Senza abbandonare il lavoro nel campo della moda inizia a fotografare indipendentemente tutto ciò che attrae la sua attenzione. I suoi scatti di nudo nascono proprio in questo periodo, mentre lavora in parallelo ad altri ad altri progetti che si concentrano sugli oggetti e i personaggi della vita quotidiana.
Nel 1967 decide portare la sua fotocamera altrove; tuttavia, per un “fotografo da studio”, non si dimostra un’impresa semplice. Supera il problema tramite la costruzione di una tenda/studio fotografico portatile, sufficientemente leggera da poter essere trasportata nei suoi viaggi. Grazie a questa invenzione può dedicarsi alla fotografia etnografica: un mix di moda e cultura prelevate direttamente dagli angoli del mondo in cui si trovano.
Gli anni ’70, specialmente la seconda metà, sono contraddistinti dall’interesse per i “resti abbandonati del quotidiano” e per altri oggetti inusuali (ad esempio barre di metallo).
Durante gli anni ’80 la sua attenzione si rivolge prevalentemente alla nature morte; inizia anche ad adoperare il colore nei suoi scatti.
Insegne, ritratti, moda, pubblicità, sigarette, nudi, vasi, spazzatura, commercianti, guerra, costumi locali. Questi sono solo alcuni dei soggetti a cui Irving dedica raccolte di scatti.
Una ricerca schizofrenica che sballotta il fotografo da un paese all’altro, da un soggetto all’altro, da uno stile all’altro.
Tante immagini difficili da inquadrare nel tempo ma che sono accomunate da un’evoluzione tecnica e formale continua caratterizzata però da un cuore, un nucleo, di scelte stilistiche costanti.
Il Copyright © relativo ai testi e alle immagini appartiene ai relativi autori